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La Scuola di Yoga “Sùrya” nasce nel novembre del 2003 per iniziativa del suo fondatore Ottaviano Fuoco, studioso di cultura indiana ed insegnante di Yoga, come Associazione Sportivo Culturale US ACLI, riconosciuta dal CONI.
La scuola è un centro dove è possibile praticare lo HathaYoga e non solo, possiede una biblioteca ed una Sala da thè. Organizza seminari di Shodo e di Nada Yoga, incontri di studio, concerti, conferenze, approfondimenti sulle discipline orientali.

giovedì 27 ottobre 2011

Per i principianti... e non solo!

La maggior parte delle persone inizia a praticare lo yoga con molti pregiudizi: alcuni si aspettano una guarigione istantanea dei disturbi, altri pensano che anche le asana più semplici siamo comunque difficili da eseguire. Spesso si tratta di persone che hanno una muscolatura rigida e una postura scorretta. Perfino chi è in perfette condizioni fisiche può non avere la stabilità fisica e mentale richiesta per praticare la disciplina correttamente. Quindi un principiante deve praticare le asana inizialmente a un livello base, e poi allenarsi con regolarità finchè la consapevolezza non raggiunge tutti gli strati del suo corpo.
All'inizio eseguite le asana della sequenza finchè non vi sentite a vostro agio nella posizione. Non sforzatevi, iniziate ponendovi piccoli traguardi: per ristrutturare muscoli, ossa, tessuti, posture e organi interni ci vuole tempo. Nello yoga i gesti di base, come ruotare un piede verso l'esterno o intrecciare le dita, sono chiamati “movimenti”. I gesti più sottili, come sollevare la rotula e stringere l'inguine sono considerate “azioni”. I movimenti fanno raggiungere la posizione, le azioni la perfezionano. Innanzitutto bisogna capire i movimenti. Imparate come osservare invece di cosa osservare: cogliere l'essenza dell'asana è più importante che eseguire correttamente i movimenti. Ai principianti alcune istruzioni possono sembrare assurde, persino impossibili. Ma, gradualmente, si diventa consapevoli della complessità e della sottigliezza dei movimenti del corpo, e ogni gesto diventa sempre più semplice, quasi istintivo. In seguito comprendendo le azioni di un asana, riuscirete a stabilire un ritmo e una velocità per il vostro allenamento. Entrerete in contatto con parti di voi che ignoravate l'esistenza. Le asana collegano con il mondo interiore.
Abbandonare la coscienza acquisita e far fronte alla situazione presente non è facile finchè non si è riusciti a risvegliare la sensazione addormentata.
I praticanti possono evolvere, di volta in volta , impercettibilmente, e passare da una condizione che li vede come muri di cemento ad un corpo più morbido e permeabile. Il ki comincia a passare. Il dialogo diventa più facile. E' tuttavia inutile provare finchè i praticanti continuano a conservare il dualismo tradizionale tra anima e corpo, e credono che il movimento non possa riguardare che il fisico.
"YOGA" Conoscere e praticare lo yoga con un grande maestro - B.K.S. Iyengar - Mondadori
Di fronte alla scienza - Itsuo Tsuda - Luni Editrice
Namastè

venerdì 21 ottobre 2011

Chi crea i miei problemi?

 Gli Yoga Sùtra di Patanjali definiscono lo yoga come la capacità di dirigere la mente senza distrazioni e in modo continuo. Capire in che modo creiamo i nostri problemi è un primo passo per capire come liberarcene. Gli Yoga Sùtra definiscono Avidyà come “errata comprensione”, una falsa percezione o fraintendimento. Questa possiamo intenderla come come il risultato dell'accumulo delle nostre azioni inconsce, i giudizi e le azioni che abbiamo prodotto meccanicamente per anni. Per effetto di queste risposte inconsce la mente diventa sempre più dipendente dalle abitudini e finiamo con il considerare la nostra reazione di ieri come la norma di oggi.
Raramente abbiamo la sensazione che la nostra percezione sia sbagliata o oscurata. Infatti, una caratteristica di avidyà è quella di rimanere nascosta. Più facili da identificare sono le sue ramificazioni. La prima ramificazione è ciò che chiamiamo “io” (Io sono migliore, Io ho ragione) gli Yoga Sùtra chiamano questa ramificazione asmità. La seconda ramificazione è la continua richiesta di qualcosa, che viene chiamata ràga. Oggi vogliamo qualcosa solo perché ieri ci è piaciuta e non perchè ne abbiamo un effettivo bisogno. La terza ramificazione di avidyà è dvesa , questa si manifesta quando rifiutiamo qualcosa. Abbiamo avuto un'esperienza dolorosa perciò rifiutiamo situazioni, pensieri e persone che possano determinare la ripetizione di quell'esperienza. L'ultima ramificazione è abhinivesa, la paura. E' l'aspetto più nascosto di avidyà, si può trattare di insicurezza o di dubbi su noi stessi, della paura di un giudizio negativo, dalla paura di invecchiare.
Le quattro ramificazioni, una alla volta o tutte e quattro assieme, velano la nostra percezione. Di fronte a qualunque problema possiamo essere certi che avidyà ha concorso a crearlo. Lo Yoga diminuisce gli effetti di avidyà, affinché possa prodursi la vera comprensione. Quando percepiamo una cosa in modo corretto c'è pace dentro di noi, non c'è tensione, né conflitto, nè agitazione.
Lo Yoga aderisce all'idea che nel nostro profondo c'è qualcosa che a differenza di tutto il resto non è soggetto al cambiamento, il purusa ,che significa “ciò che vede correttamente”. Il potere dentro di noi ci fa percepire nel modo giusto e la pratica dello yoga favorisce l'instaurarsi di questa visione priva di ostacoli.
Come si arriva a percepire in maniera corretta?
Negli Yoga Sutra, Patanjali, ci consiglia tre strumenti: il primo è il tapas, è lo strumento che ci consente di mantenerci in salute e di purificarci interiormente, è l'assiduità nella pratica degli esercizi fisici e respiratori (Asana e Pranayama). Il secondo strumento è lo Svadhyaya, studio, indagine del se, che ci consente di conoscere noi stessi. La salute fisica non basta, dobbiamo sapere chi siamo e come rapportarci agli altri. Il terzo strumento è Isvarapranidhana , amore verso Dio o affidamento a Dio. Indica anche una qualità dell'azione, ogni cosa va fatta al meglio delle nostre possibilità. Non possiamo avere la sicurezza dei risultati delle nostre azioni, ma possiamo impegnarci al fine di fare al meglio ciò che dobbiamo fare.
Lo Yoga non è passività, anzi ci insegna a partecipare alla vita e per farlo bene dobbiamo lavorare su noi stessi.
Namasté

mercoledì 12 ottobre 2011

Un millimetro di differenza, e cielo e terra sono separati.

Cos'è un millimetro di differenza capace di separare cielo e terra? Cos'è la frattura della totalità della vita?
La vita, dal mattino alla sera, è una decisione continua. Nel momento in cui apriamo gli occhi già dobbiamo decidere se alzarci subito o concederci qualche altro minuto e così via una serie di decisioni fino alla sera. In ciò non c'è niente di strano, lo strano è che invece di vedere la vita come una serie di decisioni, la vediamo come una serie di problemi. Sicuramente la prima obiezione che si potrebbe sollevare è che dipende dalla gravità della decisione e dall'influenza che questa potrebbe scaturire nella nostra vita. Questo è vero, ma continuare a vedere le scelte importanti come se fossero dei problemi e non delle decisioni da prendere, determina che il fluire della vita si ingorghi e si produca il “millimetro di differenza tra cielo e terra”.
Ciò che davvero risolve i problemi è il modo in cui pensiamo nel nostro cuore (cuore non inteso a livello emotivo ma come 'nucleo delle cose'), il modo in cui vediamo la vita. Da qui nascono le decisioni. Tutti noi vorremmo una macchina che sputa decisioni, che fornisce problemi già risolti, ma tutto ciò non esiste e le decisioni vengono dal sapere sempre meglio ciò che siamo.
Più conosciamo chi siamo, più i problemi diventano “Io sono questo, perciò farò questo, o almeno sono disposto a farlo”. Potremmo fare scelte che agli occhi degli altri potrebbero risultare sbagliate, ma se questo è ciò che sento nel mio cuore, se questo è ciò che sono, allora i problemi sono finiti.
Quando qualcosa ci sembra insolubile significa che lo consideriamo un problema esterno, non lo percepiamo come noi stessi. Il modo per trasformare un problema in una decisione è sedere con il problema in meditazione. “Etichetto i pensieri e li lascio essere, siedo nella tensione, nella contrazione e respiro con esse”. Così sono più in contatto con chi io sono e la decisione si chiarisce da se. Se la confusione è totale, non significa che vi è un problema che debbo risolvere in qualche modo; significa semplicemente che non so chi sono in relazione al problema. In realtà non so chi sono. Più mi conosco, più semplifico la vita riconducendola ai suoi reali bisogni. Finché il desiderio egoistico costituisce la mia principale preoccupazione, le decisioni saranno sempre problemi.
Con una pratica di meditazione costante si chiarisce sempre meglio ciò che va fatto, si comprende chi siamo e quali sono le nostre reali necessità, si trasformano le decisioni in pure e semplici decisioni, e non in problemi strazianti, e si elimina “il millimetro di differenza che separa il cielo dalla terra”.
Namastè

giovedì 6 ottobre 2011

Quanto sei disposto a pagare?

Sentendo la nostra vita insoddisfacente, spesso, mettiamo in atto dei meccanismi di fuga tesi alla ricerca di qualcuno o di qualcosa che si faccia carico della nostra vita al posto nostro. Finché continueremo ad ingannarci in questo modo non riusciremo a capire che c'è un prezzo da pagare per una vita realizzata. Orrore! La libertà esige un prezzo!
Spesso quando si ottiene questo tipo di comprensione si ha uno dei colpi peggiori, perché ci si rende conto che solo io posso pagare il prezzo della mia realizzazione.
Il più diffuso tentativo di non pagare il prezzo è il rifiuto di affrontare la sofferenza. Crediamo di poterla ignorare, evitare o cancellare dalla mente, speriamo che qualcun altro ce la tenga lontana. Riteniamo di avere il diritto di non provare il dolore della vita. Assolutamente nessuno può vivere la nostra vita al nostro posto, nessuno può sostituirci nella sofferenza. Il prezzo da pagare per crescere è sempre davanti i nostri occhi, ma continuando a mettere in atto meccanismi di fuga ci tagliamo fuori dalla bellezza della vita.
Un gioiello di grande valore non è mai in offerta, dobbiamo guadagnarcelo momento per momento e non solo nel “campo spirituale”. Mantenere gli impegni verso gli altri, metterci al servizio degli altri, sforzarci all'attenzione richiesta; tutto ciò è il prezzo del gioiello. E' la necessità di guadagnarsi una vita integra e piena con ogni azione che compiamo e con ogni parola che pronunciamo. Da un certo punto di vista potrebbe sembrare un prezzo enorme, invece se si vede chiaramente non è più un prezzo ma un privilegio. Se ci apriamo alla nostra vita ci apriamo a tutta la vita.
Lo sforzo della pratica dello Yoga sta nel capire ciò che la vita ci richiede, che spesso è l'esatto contrario di quello che vorremmo dare. Solo lavorando in questo modo apprezzeremo il gioiello della nostra vita, ma se insistiamo nel lamentarci, cercando di fuggire da un problema immaginario il gioiello rimarrà per sempre nascosto.
Solo accettando di pagarne il prezzo potremo avere il gioiello.
Namastè