Benvenuto!

La Scuola di Yoga “Sùrya” nasce nel novembre del 2003 per iniziativa del suo fondatore Ottaviano Fuoco, studioso di cultura indiana ed insegnante di Yoga, come Associazione Sportivo Culturale US ACLI, riconosciuta dal CONI.
La scuola è un centro dove è possibile praticare lo HathaYoga e non solo, possiede una biblioteca ed una Sala da thè. Organizza seminari di Shodo e di Nada Yoga, incontri di studio, concerti, conferenze, approfondimenti sulle discipline orientali.

lunedì 5 dicembre 2011

Sofferenza?...no, grazie!

Se decidiamo di affrontare un viaggio, dobbiamo essere realistici, non basta pensare al viaggio per ritrovarci a destinazione, dobbiamo salire effettivamente su un mezzo e partire. 

Nonostante le difficoltà insite nel percorso, il semplice evitare il viaggio non ci darà una grande soddisfazioni, né ci porterà dove vogliamo andare. Quindi anche se spesso il cammino è lungo e difficile dobbiamo muoverci!

Se la nostra meta è un'esistenza felice e proficua dobbiamo iniziare dalle situazioni ordinarie della vita quotidiana, questa è la materia prima su cui lavorare. Dobbiamo prima, però, superare la tendenza abituale a trascurare o evadere sia i problemi relativi all'ambiente esterno e alle persone con cui lo condividiamo, sia la frustrazione e la sofferenza che avvertiamo in noi.

Siamo tutti attratti da eccitanti meditazioni che insegnano a volare e lievitare, ma è più utile imparare a tenere i piedi per terra. Cerchiamo di essere onesti, tutti siamo principianti per quanto riguarda la capacità di affrontare i problemi della vita.

Calmare la mente significa essenzialmente imparare ad accettare ed affrontare le situazioni ordinarie della vita quotidiana.

Una volta riconosciuta la necessità di un cammino dobbiamo metterci in viaggio!

Affrontare le situazioni della vita ci porterà ad affrontare una certa sofferenza, come prima cosa quindi dobbiamo imparare a calmare la mente. Finché avremo paura di perdere ricchezza, le persone care o i beni materiali, per non parlare della vita saremo soggetti alla sofferenza e avremo bisogno di calmare la mente. E' importante cercare di affrontare le situazioni che coinvolgono noi stessi e gli altri in modo rilassato, senza complicazioni. Non è detto che sia particolarmente eccitante , tuttavia il nostro obiettivo è quello di accettare le situazioni così come sono. L'unico modo di fare ciò è l'attenzione al respiro.

Quali che siano le circostanze della nostra vita, debbono essere comprese ed affrontate. Alcune debbono essere accettate, nella buona e nella cattiva sorte, altre debbono essere gestite e migliorate. Gli altri possono incoraggiarci e sostenerci, ma se vogliamo sbrogliare la matassa della vita dobbiamo farcela da soli.

Evitando o sfuggendo le situazioni non facciamo altro che distogliere la mente dai problemi, senza risolverli. Se ci limitiamo a fare quello che ci piace e non fare quello che non ci piace, le difficoltà aumentano e si ripresentano all'infinito. Quando ci arrendiamo alla nostra debolezza, non facciamo altro che indebolirci e compromettere le possibilità di affrancarci gradatamente alla sofferenza. Dobbiamo stare attenti a non perdere di vista il mondo così com'è in questo preciso momento.

Educando la mente possiamo imparare a confrontarci e venire a patti con ciò che in genere percepiamo come doloroso o angosciante. Ad esempio, già il semplice affrontare le situazioni ci libera dalla fatica di sfuggirle!

Dobbiamo riconoscere le esperienze e le responsabilità, siano esse difficili, facili o banali, per ciò che sono. L'importante è non lasciarci troppo condizionare emotivamente dalle nostre percezioni delle situazioni e dal giudizio di valore che ne diamo.

Anziché dedicare tutta la nostra energia al vano tentativo di rendere la vita perfetta, potremo usare un po' di questo sforzo per sviluppare la tolleranza e l'apprezzamento per come vanno le cose. Tale pace interiore porta una felicità profonda e durevole.

Namastè

giovedì 24 novembre 2011

Come "illuminarsi" in 15 giorni!

“Chi siamo?”, “Cosa è la vita?” “Dove andiamo?” “Da dove veniamo?” domande che spesso ci poniamo. A seconda della nostra cultura e delle nostre credenze ci diamo delle risposte più o meno esaustive. 
Potrebbero sembrare domande banali, ma se si cerca di entrare nel profondo rimaniamo tutti spiazzati, perché non riusciamo a darci delle risposte. 

Una risposta, però, può essere racchiusa nelle parole “questo preciso momento”.

Se ci chiedessero ora dove sei? Nel passato? Forse no! Nel futuro? Neppure! Sei nel presente? No, nemmeno nel presente, perché non c'è niente che possiamo identificare come presente, non ci sono confini che lo delimitano. Tutto ciò che possiamo rispondere è “sono questo preciso momento”.


Per arrivare a comprendere l'importanza di essere questo preciso momento il primo passo da compiere è imparare ad ascoltare ed imparare a prestare attenzione. Quando sediamo in meditazione la cosa più importante è l'attenzione alla totalità delle cose che accadono ora, in questo preciso momento, che sia noia, dolore, gioia. Il motivo perché nella meditazione e nella vita più in generale non vogliamo fare attenzione è perché non sempre ciò che accade è piacevole, “questo non mi piace e non voglio né vederlo e né sentirlo”.

Abbiamo una mente in grado di pensare e facciamo sogni sul futuro, sulle cose piacevoli che avremo e che faremo. Tutto ciò che accade nel presente lo passiamo a questo filtro “non mi piace, non voglio sentirlo, preferisco dimenticarlo e sognare quanto accadrà di bello”. La mente è in continuo lavoro nel tentativo di creare una vita piacevole, sicura e felice. Facendo così non vediamo il qui e ora, questo preciso momento, perché troppo impegnati a “filtrare” la vita. Ma ciò che accade è molto diverso da ciò che pensiamo.

Ciò che dobbiamo sviluppare nella meditazione è la capacità di stare intensamente nel qui e ora, dobbiamo essere capaci di dirci “questa volta non scappo!”. Durante la meditazione, momento per momento, siamo chiamati a decidere tra il mondo meraviglioso dentro la nostra testa e la realtà. Questa realtà è, spesso, stanchezza, noia e male alle gambe. Ciò che impariamo nello stare seduti con il disagio è di fondamentale importanza in quanto il dolore ci costringe a stare con lui, non possiamo scappare, non ci sono altri posti in cui andare.

La meditazione insegna a vivere con più agio, vivere con agio significa non passare la vita a sognare, ma stare con ciò che è qui e ora, qualunque cosa sia. Buono, cattivo, bello, brutto non fa differenza. Compito non facile. Esige coraggio, ci vuole molto fegato e forse non tutti sono disposti ad impegnarsi.
“Sedendoci”, non aspettiamoci di trovare la nostra nobiltà interiore, abbandoniamo anche per pochi minuti il vortice della mente e sediamo con quello che c'è. Sedendo vediamo cosa siamo, i nostri sforzi per fare bella figura, per primeggiare oppure vedremo la nostra rabbia, ansia, la nostra alterigia.

Se praticheremo duro per un certo periodo di tempo, un giorno avremo un piccolo barlume di luce, ma ciò non basta, perché una vita illuminata vuol dire “vedere” attimo dopo attimo, ci vorranno anni di lavoro per trasformarci e metterci in grado di farlo. La trasformazione, però, non avviene attraverso il pensiero, né con ciò che possiamo immaginare con la nostra testa , avviene attraverso ciò che facciamo, cioè abbandonando il mondo dei sogni egoistici per la realtà che davvero siamo.

Ma davvero c'è qualcuno che pensa scioccamente di diventare “illuminato” in 15 giorni?

Namastè

giovedì 10 novembre 2011

Concerto di Musica Classica Indiana

Esiste una particolare sequenza di note utile durante tutta l'esistenza umana, da prima del concepimento fino al periodo post parto, dall'adolescenza alla maturità, che accompagna la persona tutta la vita mantenendola in un buono stato di salute, fisica e mentale. Si tratta della musica più antica, conservata nella cultura Indù.
Tale musica sacra si avvale di due scale principali chiamate RAGA: quella usata nel nord India è RAGA BHAIRAV, quella usata nel sud India è MAYAMALAVAGAULA.
Il Raga comincia con la melodia che si sviluppa gradualmente e l'esecuzione di un singolo Raga può durare da una quindicina di minuti a tre ore, limite teorico dettato dal cambiamento di fase del giorno, in India, infatti, le 24 ore sono suddivise in otto "spicchi" di tre ore, ognuno dei quali caratterizzato da un diverso sentimento dominante e da diversi Raga che possono essere suonati in esso. Spesso i concerti di musica indiana durano interi giorni e notti, in cui numerosi musicisti e cantanti si susseguono con continuità in un flusso di musica quasi ininterrotto.
La famiglia MISHRA è custode vivente della Tradizione di musica classica, sacra, indiana.
Pandit SHIVNATH è il più anziano musicista di Raga del mondo, suo figlio DEOBHRAT e suo nipote PRASHANT sono i degni successori di quest'arte.
A seguito del viaggio in India, compiuto da Ottaviano Fuoco, presidente dell'associazione Scuola di Yoga Sùrya di Rende (CS), è nata una bella amicizia con la famiglia MISHRA che ha permesso di realizzare l'idea un concerto nella nostra terra di Calabria.
Giorno 18 novembre presso l'Auditorium del Liceo Classico Telesio, la città avrà finalmente l'occasione di ascoltare e godere della musica di questi grandi artisti. 
Per informazioni e prevendita 3478669757 - 3421077350
Namastè

giovedì 27 ottobre 2011

Per i principianti... e non solo!

La maggior parte delle persone inizia a praticare lo yoga con molti pregiudizi: alcuni si aspettano una guarigione istantanea dei disturbi, altri pensano che anche le asana più semplici siamo comunque difficili da eseguire. Spesso si tratta di persone che hanno una muscolatura rigida e una postura scorretta. Perfino chi è in perfette condizioni fisiche può non avere la stabilità fisica e mentale richiesta per praticare la disciplina correttamente. Quindi un principiante deve praticare le asana inizialmente a un livello base, e poi allenarsi con regolarità finchè la consapevolezza non raggiunge tutti gli strati del suo corpo.
All'inizio eseguite le asana della sequenza finchè non vi sentite a vostro agio nella posizione. Non sforzatevi, iniziate ponendovi piccoli traguardi: per ristrutturare muscoli, ossa, tessuti, posture e organi interni ci vuole tempo. Nello yoga i gesti di base, come ruotare un piede verso l'esterno o intrecciare le dita, sono chiamati “movimenti”. I gesti più sottili, come sollevare la rotula e stringere l'inguine sono considerate “azioni”. I movimenti fanno raggiungere la posizione, le azioni la perfezionano. Innanzitutto bisogna capire i movimenti. Imparate come osservare invece di cosa osservare: cogliere l'essenza dell'asana è più importante che eseguire correttamente i movimenti. Ai principianti alcune istruzioni possono sembrare assurde, persino impossibili. Ma, gradualmente, si diventa consapevoli della complessità e della sottigliezza dei movimenti del corpo, e ogni gesto diventa sempre più semplice, quasi istintivo. In seguito comprendendo le azioni di un asana, riuscirete a stabilire un ritmo e una velocità per il vostro allenamento. Entrerete in contatto con parti di voi che ignoravate l'esistenza. Le asana collegano con il mondo interiore.
Abbandonare la coscienza acquisita e far fronte alla situazione presente non è facile finchè non si è riusciti a risvegliare la sensazione addormentata.
I praticanti possono evolvere, di volta in volta , impercettibilmente, e passare da una condizione che li vede come muri di cemento ad un corpo più morbido e permeabile. Il ki comincia a passare. Il dialogo diventa più facile. E' tuttavia inutile provare finchè i praticanti continuano a conservare il dualismo tradizionale tra anima e corpo, e credono che il movimento non possa riguardare che il fisico.
"YOGA" Conoscere e praticare lo yoga con un grande maestro - B.K.S. Iyengar - Mondadori
Di fronte alla scienza - Itsuo Tsuda - Luni Editrice
Namastè

venerdì 21 ottobre 2011

Chi crea i miei problemi?

 Gli Yoga Sùtra di Patanjali definiscono lo yoga come la capacità di dirigere la mente senza distrazioni e in modo continuo. Capire in che modo creiamo i nostri problemi è un primo passo per capire come liberarcene. Gli Yoga Sùtra definiscono Avidyà come “errata comprensione”, una falsa percezione o fraintendimento. Questa possiamo intenderla come come il risultato dell'accumulo delle nostre azioni inconsce, i giudizi e le azioni che abbiamo prodotto meccanicamente per anni. Per effetto di queste risposte inconsce la mente diventa sempre più dipendente dalle abitudini e finiamo con il considerare la nostra reazione di ieri come la norma di oggi.
Raramente abbiamo la sensazione che la nostra percezione sia sbagliata o oscurata. Infatti, una caratteristica di avidyà è quella di rimanere nascosta. Più facili da identificare sono le sue ramificazioni. La prima ramificazione è ciò che chiamiamo “io” (Io sono migliore, Io ho ragione) gli Yoga Sùtra chiamano questa ramificazione asmità. La seconda ramificazione è la continua richiesta di qualcosa, che viene chiamata ràga. Oggi vogliamo qualcosa solo perché ieri ci è piaciuta e non perchè ne abbiamo un effettivo bisogno. La terza ramificazione di avidyà è dvesa , questa si manifesta quando rifiutiamo qualcosa. Abbiamo avuto un'esperienza dolorosa perciò rifiutiamo situazioni, pensieri e persone che possano determinare la ripetizione di quell'esperienza. L'ultima ramificazione è abhinivesa, la paura. E' l'aspetto più nascosto di avidyà, si può trattare di insicurezza o di dubbi su noi stessi, della paura di un giudizio negativo, dalla paura di invecchiare.
Le quattro ramificazioni, una alla volta o tutte e quattro assieme, velano la nostra percezione. Di fronte a qualunque problema possiamo essere certi che avidyà ha concorso a crearlo. Lo Yoga diminuisce gli effetti di avidyà, affinché possa prodursi la vera comprensione. Quando percepiamo una cosa in modo corretto c'è pace dentro di noi, non c'è tensione, né conflitto, nè agitazione.
Lo Yoga aderisce all'idea che nel nostro profondo c'è qualcosa che a differenza di tutto il resto non è soggetto al cambiamento, il purusa ,che significa “ciò che vede correttamente”. Il potere dentro di noi ci fa percepire nel modo giusto e la pratica dello yoga favorisce l'instaurarsi di questa visione priva di ostacoli.
Come si arriva a percepire in maniera corretta?
Negli Yoga Sutra, Patanjali, ci consiglia tre strumenti: il primo è il tapas, è lo strumento che ci consente di mantenerci in salute e di purificarci interiormente, è l'assiduità nella pratica degli esercizi fisici e respiratori (Asana e Pranayama). Il secondo strumento è lo Svadhyaya, studio, indagine del se, che ci consente di conoscere noi stessi. La salute fisica non basta, dobbiamo sapere chi siamo e come rapportarci agli altri. Il terzo strumento è Isvarapranidhana , amore verso Dio o affidamento a Dio. Indica anche una qualità dell'azione, ogni cosa va fatta al meglio delle nostre possibilità. Non possiamo avere la sicurezza dei risultati delle nostre azioni, ma possiamo impegnarci al fine di fare al meglio ciò che dobbiamo fare.
Lo Yoga non è passività, anzi ci insegna a partecipare alla vita e per farlo bene dobbiamo lavorare su noi stessi.
Namasté

mercoledì 12 ottobre 2011

Un millimetro di differenza, e cielo e terra sono separati.

Cos'è un millimetro di differenza capace di separare cielo e terra? Cos'è la frattura della totalità della vita?
La vita, dal mattino alla sera, è una decisione continua. Nel momento in cui apriamo gli occhi già dobbiamo decidere se alzarci subito o concederci qualche altro minuto e così via una serie di decisioni fino alla sera. In ciò non c'è niente di strano, lo strano è che invece di vedere la vita come una serie di decisioni, la vediamo come una serie di problemi. Sicuramente la prima obiezione che si potrebbe sollevare è che dipende dalla gravità della decisione e dall'influenza che questa potrebbe scaturire nella nostra vita. Questo è vero, ma continuare a vedere le scelte importanti come se fossero dei problemi e non delle decisioni da prendere, determina che il fluire della vita si ingorghi e si produca il “millimetro di differenza tra cielo e terra”.
Ciò che davvero risolve i problemi è il modo in cui pensiamo nel nostro cuore (cuore non inteso a livello emotivo ma come 'nucleo delle cose'), il modo in cui vediamo la vita. Da qui nascono le decisioni. Tutti noi vorremmo una macchina che sputa decisioni, che fornisce problemi già risolti, ma tutto ciò non esiste e le decisioni vengono dal sapere sempre meglio ciò che siamo.
Più conosciamo chi siamo, più i problemi diventano “Io sono questo, perciò farò questo, o almeno sono disposto a farlo”. Potremmo fare scelte che agli occhi degli altri potrebbero risultare sbagliate, ma se questo è ciò che sento nel mio cuore, se questo è ciò che sono, allora i problemi sono finiti.
Quando qualcosa ci sembra insolubile significa che lo consideriamo un problema esterno, non lo percepiamo come noi stessi. Il modo per trasformare un problema in una decisione è sedere con il problema in meditazione. “Etichetto i pensieri e li lascio essere, siedo nella tensione, nella contrazione e respiro con esse”. Così sono più in contatto con chi io sono e la decisione si chiarisce da se. Se la confusione è totale, non significa che vi è un problema che debbo risolvere in qualche modo; significa semplicemente che non so chi sono in relazione al problema. In realtà non so chi sono. Più mi conosco, più semplifico la vita riconducendola ai suoi reali bisogni. Finché il desiderio egoistico costituisce la mia principale preoccupazione, le decisioni saranno sempre problemi.
Con una pratica di meditazione costante si chiarisce sempre meglio ciò che va fatto, si comprende chi siamo e quali sono le nostre reali necessità, si trasformano le decisioni in pure e semplici decisioni, e non in problemi strazianti, e si elimina “il millimetro di differenza che separa il cielo dalla terra”.
Namastè

giovedì 6 ottobre 2011

Quanto sei disposto a pagare?

Sentendo la nostra vita insoddisfacente, spesso, mettiamo in atto dei meccanismi di fuga tesi alla ricerca di qualcuno o di qualcosa che si faccia carico della nostra vita al posto nostro. Finché continueremo ad ingannarci in questo modo non riusciremo a capire che c'è un prezzo da pagare per una vita realizzata. Orrore! La libertà esige un prezzo!
Spesso quando si ottiene questo tipo di comprensione si ha uno dei colpi peggiori, perché ci si rende conto che solo io posso pagare il prezzo della mia realizzazione.
Il più diffuso tentativo di non pagare il prezzo è il rifiuto di affrontare la sofferenza. Crediamo di poterla ignorare, evitare o cancellare dalla mente, speriamo che qualcun altro ce la tenga lontana. Riteniamo di avere il diritto di non provare il dolore della vita. Assolutamente nessuno può vivere la nostra vita al nostro posto, nessuno può sostituirci nella sofferenza. Il prezzo da pagare per crescere è sempre davanti i nostri occhi, ma continuando a mettere in atto meccanismi di fuga ci tagliamo fuori dalla bellezza della vita.
Un gioiello di grande valore non è mai in offerta, dobbiamo guadagnarcelo momento per momento e non solo nel “campo spirituale”. Mantenere gli impegni verso gli altri, metterci al servizio degli altri, sforzarci all'attenzione richiesta; tutto ciò è il prezzo del gioiello. E' la necessità di guadagnarsi una vita integra e piena con ogni azione che compiamo e con ogni parola che pronunciamo. Da un certo punto di vista potrebbe sembrare un prezzo enorme, invece se si vede chiaramente non è più un prezzo ma un privilegio. Se ci apriamo alla nostra vita ci apriamo a tutta la vita.
Lo sforzo della pratica dello Yoga sta nel capire ciò che la vita ci richiede, che spesso è l'esatto contrario di quello che vorremmo dare. Solo lavorando in questo modo apprezzeremo il gioiello della nostra vita, ma se insistiamo nel lamentarci, cercando di fuggire da un problema immaginario il gioiello rimarrà per sempre nascosto.
Solo accettando di pagarne il prezzo potremo avere il gioiello.
Namastè

giovedì 29 settembre 2011

Che cosa ne ricaverò?

Se si chiede ad un cane il senso della vita, probabilmente risponderà che ha fame e che vuole qualche carezza!
Noi esseri umani, al contrario dei cani, abbiamo una mente egocentrica che ci procura diversi guai.
Tutti, in misura diversa, sentiamo la vita come difficile, incomprensibile ed a volte opprimente. A seconda delle nostre esperienze approdiamo all'età adulta con sentimenti contraddittori riguardo alla vita. Se ci dicessero che la vita è perfetta così com'è probabilmente ci metteremmo a ridere, per non dire altro. Nessuno ritiene di vivere una vita perfetta, eppure qualcosa dentro di noi sa che siamo senza confini. Ci troviamo intrappolati nella contraddizione di sentire la vita come fonte di dolore e problemi e nello stesso tempo di sentire la sua infinita ampiezza. Così cerchiamo delle risposte!
Per prima cosa guardiamo all'esterno, soluzioni semplici, più soldi, un nuovo amante, qualcuno che ci comprenda meglio. Poi a poco a poco ci stanchiamo di ciò che abbiamo trovato e cominciamo a cercarne di nuovi. Continuando a cercare all'esterno, in fine, approdiamo ad una disciplina spirituale. Anche in questo caso, però, riportiamo le stesse modalità di prima. “Se riuscissi a compenetrare quest'Asana riuscirei a stare meglio!”, “Se solo assaporassi l'illuminazione sarei più felice!” Avvicinandoci ad una pratica come lo Yoga portiamo con noi la vecchia abitudine della ricerca dell'ottenimento di quel qualcosa che finora c'era sfuggito.
Che cosa ne ricaverò?” questa è la domanda che ci poniamo in continuazione. Impostiamo la vita sul tentativo di evitare ciò che ci ferisce o dispiace; dividiamo gli oggetti le persone e le situazioni in piacevoli e dolorosi inseguendo gli uni ed evitando gli altri. Tutti adottiamo questo comportamento! Seppelliamo dentro di noi ansia, paura e dolore e siamo costantemente impegnati in qualche attività per continuare a seppellire. Dobbiamo risvegliarci alla necessità di lavorare alla nostra vita, dobbiamo superare l'illusione di un io separato dall'altro. Conosciamo la vita solo nel momento in cui noi e l'oggetto diventiamo uno.
La “pace oceanica”, l'”illuminazione” non è qualcosa da ottenere, è semplicemente l'assenza di un atteggiamento. Per tutta la vita inseguiamo qualcosa, perseguiamo uno scopo, l'illuminazione è l'abbandono di questo atteggiamento. Parlarne serve a poco l'unica cosa è la pratica personale, praticare con impegno per tutta la vita.
Viviamo in modo così innaturale che praticare lo Yoga all'inizio è estremamente difficile, ma una volta colto che il problema non sta al di fuori di noi siamo già sul sentiero. Questo barlume di luce sulla possibilità di una vita più aperta e gioiosa ci dà il desiderio di continuare a praticare. Ci impegniamo in una disciplina come lo Yoga proprio per imparare a vivere in modo sano. Una pratica sana ed equilibrata deve produrre una vita più sana e soddisfacente.
Lo Yoga non è per tutti, esige la disponibilità ad affrontare qualcosa che non è facile, ma se ci impegniamo con pazienza e perseveranza, a poco a poco, le emozioni perdono il loro potere tirannico e la nostra vita si equilibra..
Praticando scopriamo che la prima cosa su cui lavorare è la nostra mente caotica. Con la mente chiara e bilanciata può prodursi un'apertura che per un attimo può farci comprendere chi siamo davvero. A questo punto non si tratterà più di praticare Yoga per un'ora o due al giorno, ma tutta la vita diventerà pratica, ed ogni minuto della nostra giornata sarà dedicato alla pratica.
Namastè

mercoledì 14 settembre 2011

Sùrya Namaskara

E' una sequenza dinamica, perfetta e completa in se stessa; sigillo inalterato, arriva a noi attraverso i secoli per raccontare una storia antica descrivendo l'avvicendarsi dell'anima e della materia, ciclicamente legati dall'azione del KARMA (azione).
I primi movimenti descrivono il tragitto dell'ATMAN (anima) alla fine di un ciclo: le mani si uniscono davanti al CHAKRA del cuore, come per proteggere qualcosa di prezioso, che poi viene liberato verso l'alto, verso il BRAHMAN (l'assoluto). Allora il corpo fisico, svuotato dalla sua luce interiore, ritorna gradualmente agli elementi di PRAKRTI. Gli elementi più leggeri, assieme a quelli che il fuoco trasforma, sono accolti dall'etere; all'acqua e alla terra andranno i più pesanti. Ma dalla terra risorge qualcosa: attraverso il potere del COBRA, attraverso l'energia del fulmine che entra in PRAKRTI vivificandola, gli elementi si attraggono, si organizzano in nuova forma e l'ATMAN torna dall'alto per abitarla. Dallo spazio del cuore nel quale ATMAN risplende, ha inizio un nuovo ciclo senza fine, ancora più interiore e sottile.
Nascita, vita, morte e rinascita, un ciclo di musica vibrante a supporto di tutta la realtà!
Namastè.


sabato 3 settembre 2011

L'Impermanenza


La rinuncia non consiste nel lasciare le cose di questo mondo, ma nell'accettare che se ne vadano” Suzuki Roshi
La rinuncia è la condizione di non attaccamento, l'accettazione del fatto che le cose se ne vanno. La distruzione è necessaria. Senza distruzione non può prodursi la nuova vita. Dobbiamo vivere e morire. Questo processo è perfezione, “l'impermanenza” è di fatto un altro nome per perfezione.
Il cambiamento non è sempre quello che auspichiamo, il nostro impulso ci spinge a cercare un modo per durare per sempre nel nostro eterno fulgore. Benché ridicola la nostra speranza è questa. La resistenza al cambiamento stride con la perfezione della vita, cioè con la sua impermanenza.
Così nasce un eterno conflitto perché l'ultima cosa che vogliamo è la nostra impermanenza. Rifiutiamo di vedere la vita, la nostra attenzione è altrove precisamente sul campo di battaglia delle nostre paure, impegnati nella lotta per conservarci in eterno. Battaglia futile ed angosciosa che ovviamente non vinceremo.
La pratica quotidiana si rivela il luogo in cui i miei desideri di immortalità privata, di lustro personale e di controllo sull'universo si scontrano con ciò che è. Una buona pratica ci rende consapevoli dei nostri sogni, e non lascia inavvertito nulla di quanto accade nella sfera fisica e mentale. La pratica ci trasforma in canali sempre più aperti al passaggio dell'energia universale e la morte perde la sua forza.
Il primo grande ostacolo che opponiamo a questa trasformazione è la mancanza di consapevolezza delle resistenze che opponiamo alla pratica. Il secondo ostacolo è dato dalla mancanza di sincerità sul nostro stato d'animo momento per momento, dobbiamo sempre essere consapevoli di tutto ciò che succede dentro di noi. Il terzo ostacolo è non comprendere la vastità del compito in cui ci siamo imbarcati. Non è un compito impossibile ma è infinito.
Una pratica intelligente lavora prevalentemente su una cosa: la paura fondamentale dell'esistenza, la paura di non essere. Noi siamo l'impermanenza espressa in forma umana in rapido cambiamento, che però appare come stabile.
Quando le barriere personali cadranno semplicemente vivremo e morendo semplicemente moriremo. Nessun problema.
Namasté

lunedì 25 luglio 2011

Quanto tempo occorre per capire la vita? Tutta la vita!

Spesso non siamo in grado di capire la vita e il nostro grado di confusione corrisponde al grado di sofferenza che proviamo. Passare da un modo di vita in cui danneggio me stesso e gli altri ad un modo di vita in cui non danneggio nessuno non è complicato. Le difficoltà nascono quando sostituiamo alla pratica reale l'idea che noi dovremmo essere diversi o migliori di quello che siamo, o che la nostra vita dovrebbe essere diversa da quella che è.
Sostituendo alla vita così com'è idee di come dovrebbe essere sbagliamo subito la partenza.
Per capire la via bisogna sperimentarla direttamente, è inutile e dannoso sognare come sarebbe se solo potessimo fare questo, se solo avessimo quell'altro. Essere presenti a ciò che siamo, qui e adesso, questa è la via.
Bisogna cominciare a capire che pensiamo continuamente a come potrebbe essere la nostra vita o com'è stata in passato e comprendere quanto raramente siamo presenti. Non sperimentiamo la vita, la pensiamo, la immaginiamo e la riempiamo di opinioni, creando una irreale paura che esercita un potente dominio su di noi.
Prendere consapevolezza delle barriere che l'io erige contro la vita (pensieri, emozioni, fughe, manipolazioni) può essere doloroso ma rivelatrice, solo insistendo le nuvole che offuscano la vita si alzano.
A questo punto l'esperienza di vivere il presente attimo per attimo è risanante.
Tutto ciò è semplice? Si. Facile? No.
Vedere un artista è ispirante, ma voler essere come lui è inutile. Dobbiamo imparare dal qui e ora, da come siamo qui e ora. Fantasticare di un meraviglioso futuro o ricordare le gesta passate non ci fa crescere, al contrario non impariamo e non cresciamo.
Tutto ciò non è difficile da comprendere il difficile è metterlo in pratica, solo perseverando tutta la vita potremo comprendere la vita.
Namastè

lunedì 4 luglio 2011

Percezione e Azione

Gli Yoga Sutra definiscono lo Yoga come la capacità di dirigere la mente senza distrazioni e in modo continuo. Gli Yoga Sutra definiscono anche Avidyà come errata comprensione. Avidyà possiamo intenderla come il risultato dell'accumulo delle nostre azioni inconsce, i giudizi e le reazioni che abbiamo prodotto meccanicamente per anni e anni. Per effetto di queste risposte inconsce la mente diventa sempre più dipendente dalle abitudini e finiamo per considerare la nostra reazione di ieri come la norma di oggi.
Lo Yoga aderisce all'idea che nel nostro profondo c'è qualcosa, anch'esso molto reale che, a differenza di tutto il resto, non è soggetto a cambiamento. Questa sorgente si chiama purusa che significa "ciò che vede correttamente". Il purusa è il potere dentro di noi che ci fa percepire nel modo giusto. La pratica dello yoga favorisce l'instaurarsi di questa visione priva di ostacoli. Finchè la mente è velata da avidyà, le percezioni sono oscurate.
La vera comprensione, però, non viene da sè. La mente ed il corpo sono assuefatti a determinati modelli percettivi che possono venire gradualmente trasformati attraverso la pratica dello yoga. All'inizio della nostra pratica la nostra esperienza è un'alternanza di momenti di chiarezza e di oscurità, con il tempo approderemo a una sempre maggior chiarezza , questo cambiamento ci darà la misura dei nostri miglioramenti.
Namastè

mercoledì 29 giugno 2011

Il nemico invisibile.

"Chissà se il mondo chiuso dentro le tre doppie w è verosimile o è un fac-simile...quando sembra di viaggiare e invece resti immobile...chissà se queste macchine che parlano per noi ci avvicinano o allontanano..."
A volte le canzoni ci vengono incontro, ma poi i significati si perdono tra i nostri "affanni".
Non demonizzo il computer , strumento innovativo, mezzo rapido e validissimo, ma il guaio è che pochi lo usano adeguatamente...
Per molti l'uso dello "schermo a cristalli liquidi", purtroppo, è diventato un'ossessione psicotica, molti restano ipnotizzati e letteralmente catturati dalla "rete".
Dal mio punto di vista ci sono due frasi di uso corrente che rispecchiano perfettamente l'ipocrisia, la paura, l'indifferenza, l'egoismo e la pigrizia della maggior parte della gente moderna: 1) "...è colpa della società"; 2) "... eh, ma non è facile!". E' molto facile non prendersi le proprie responsabilità e cercare sempre il capro espiatorio per tutto. E' veramente colpa della "società" se lascio la spazzatura sulla spiaggia? E' veramente "difficile" sedersi a respirare dieci minuti al giorno? E' davvero colpa della "società" se mi avveleno il fegato mangiando spesso da McDonald's? E' davvero "difficile" comprendere e perdonare una persona?
L'elenco sarebbe "divertente" ed interminabile... il fatto è che ognuno dovrebbe accorgersi di essere "parte del mondo" e non un "mondo apparte", assumendosi sinceramente le proprie responsabilità, lavorando tutti i giorni con il proprio Respiro, diventando così padroni della propria vita.
Comunque se qualcuno dovesse conoscere di persona "la società" ...me la presenti, così magari la lascio chiusa in macchina cinque o sei ore, in un automobile blindata, sotto il sole!
Namastè

sabato 25 giugno 2011

Che paura!!!

Noi esseri umani tendenzialmente creiamo falsi problemi. Questo deriva dall'impossibilità di vivere al di fuori del nostro modello di pensiero. Usando la mente in modo improprio siamo capaci di creare due tipi di paure. La prima è quella naturale: davanti ad un pericolo fisico tendiamo a scappare o a difenderci. La seconda è quella che avvelena la nostra vita basandosi su false insidie, l'ansia.
La falsa paura nasce da un cattivo uso della mente. Pensando il nostro sé, o io, come un'entità separata, formuliamo proposizioni che hanno l'io come soggetto. Quello che è successo o potrebbe succedere a questo io, oppure come analizzare e controllare gli avvenimenti. Questa incessante attività mentale determina un costante giudizio ansioso su di noi e su gli altri.
La paura che nasce da questi presupposti irrealistici ci impedisce di agire con intelligenza determinando strategie di manipolazione. Diamo credito alle persone e alle situazioni che diano credito a questo 'io'.
“Cosa mi accadrà?”, “Cosa otterrò?”, “Come mi andrà?”...IO, IO, IO.
La mente inventa il gioco e noi ne siamo intrappolati.
Potremmo pensare che una volta capito il gioco questo finisca, invece non è così. Come fare allora?
Innanzitutto dobbiamo diventare consapevoli dell'illusione. Bisogna illuminare la mente, fare attenzione, sedere e sperimentare, conoscere le illusioni per quelle che sono. E' ben diverso dal migliorarsi o mettere a posto la propria vita.
E' questo falso “io” che ragionando in termini soggettivi, impedisce la meraviglia...la vita è un miracolo minuto per minuto, che perdiamo sognando i nostri sogni soggettivi.
Stiamo semplicemente con ciò che sembra una grande confusione, sperimentiamola, conosciamola, così sempre più spesso riusciremo a vedere oltre i falsi sogni che annebbiano la nostra vita.
Namastè

mercoledì 22 giugno 2011

Lo Specchio!

Conosco due poesie che hanno come tema centrale lo specchio:
La prima
Praticare consiste nel pulire costantemente lo specchio così che, rimuovendone la polvere dei pensieri e delle azioni illusorie, può risplendere.
La seconda
Non vi è alcuno specchio, né alcuna superficie da pulire, né alcun luogo dove la polvere si posi.
Le limitazioni della vita sono già presenti al momento del concepimento. I fattori genetici sono in sé limitazioni. Molto presto sviluppiamo strategie per proteggerci contro i pericoli in agguato ed a causa della paura cominciamo a contrarci ed a limitare la vastità della vita.
Con l'apprendimento del linguaggio cerchiamo di affrontare le minacce immagazzinandole in ogni cellula del corpo e ricorrendo alla memoria mettiamo in relazione ogni nuovo pericolo con i precedenti. La verità è che passiamo attraverso diversi condizionamenti e poco a poco mutiamo l'idea che abbiamo di noi stessi.
Essendo stati minacciati nella nostra apertura alla vita, supponiamo che il nostro io sia la contrazione provocata dalla paura. Qualunque sia la rappresentazione che abbiamo di noi stessi l'importante è adeguarsi alla rappresentazione contratta di noi stessi. La paura, quindi, non è creata dal condizionamento ma dall'immagine di noi stessi.
Questa rappresentazione, fortunatamente, essendo visibile nei nostri pensieri e riflessa nelle tensioni del corpo, può diventare il nostro maestro se facciamo esperienza di noi stessi nel momento presente. Ciò che dobbiamo conoscere è il modello di pensiero che nutriamo in questo preciso momento e quali tensioni presenta oggi, in questo preciso momento, il nostro corpo. Mediante una “Via Spirituale”, notando i pensieri e sperimentando le tensioni fisiche illuminiamo la paura. Così facendo la nostra errata identificazione con un sé limitato svanisce a poco a poco e diventiamo sempre più capaci di essere ciò che siamo davvero: un non-sè, una risposta aperta alla vita.
Ritornando alle poesie, benché la comprensione sia racchiusa nella seconda poesia, il paradosso è che dobbiamo lavorare con la prima poesia: dobbiamo pulire lo specchio, dobbiamo diventare consapevoli dei pensieri e delle azioni, dobbiamo prendere coscienza delle false reazioni nei confronti della vita. Solo così potremo vedere che la paura è sin dall'inizio un'illusione. Comprenderemo che non occorre nessuna lotta per sbarazzarci di un illusione , ma questo lo capiremo solo se puliamo lo specchio in continuazione.
Dobbiamo pulire lo specchio fino a conoscere , visceralmente, la verità della nostra vita. Solo allora potremo capire che , dall'inizio, niente occorreva e che la vita è sempre stata aperta e feconda.
Ma non inganniamoci sulla necessità di una pratica sincera per poter vedere le cose con la stessa chiarezza delle nostre mani.
Namastè

lunedì 20 giugno 2011

Essere flessibili...

Il bambù, cedendo, sopravvive alla tempesta, mentre una quercia può essere sdradicata. Perchè? Piegandosi, il bambù non occuca più lo spazio che occupava prima. Sa come essere immateriale e quindi non è investito in pieno dalla tempesta.
Cedendo, il bambù sopravvive. Non ne viene sminuito. Con le sue forti radici, non perde terreno. Quando il vento cessa di soffiare, il bambù si ripiega all'indietro, tornando dov'era prima. In realtà il bambù è una pianta pittosto vigorosa: è longeva, sempreverde, anche in inverno. Non cadrà nemmeno sotto il peso della neve più abbondante, in quanto non offre alla neve grandi rami dove posarsi. Sembra capace di adattarsi rapidamente ad ambienti nuovi, e ricresce più forte dopo aver subito le tempeste invernali o i colpi d'ascia del boscaiolo. E all'interno? All'interno è vuoto. Ciò dimostra come il vuoto, la vacuità, la cavità e l'immaterialità possano essere molto vitali.
Nell'avversità delle tempeste della vita, dovremmo piegarci, ma senza spezzarci e senza cedere. Dovremmo affondare le nostre radici fino alla sorgenti della vita, nutrirci dell'energia del cielo e della terra. E dovremmo guardarci dentro e capire come il vuoto funziona dentro di noi.
"Essere flessibile significa possedere la flessibilità nella propria sostanza. Non significa essere debole" (Il Tao della Vita Quotidiana)
Namastè


giovedì 9 giugno 2011

...mai nessun secondo pensiero!


Chuang Tzu afferma “L'uomo perfetto usa la propria mente come uno specchio, che non s'impadronisce di nulla, che non rifiuta nulla: riceve ma non trattiene.”

Una visione del mondo che non potrebbe insegnare nulla di più semplice: qualsiasi cosa tu stia facendo è perfetta così com'è.

Tutte le tradizioni culturali-religiose ci invitano a guardare in noi stessi a essere presenti a ciò che accade dentro di noi. Nessun secondo pensiero significa che non c'è un momento migliore o più importante di un altro, basta stare dove si è senza cercare di cambiare le cose, ogni azione è tutto e noi non siamo nient'altro che l'azione che stiamo compiendo. Quando stiamo con noi stessi perde di consistenza anche il perché delle cose.

Il mondo è tutto qui, non c'è alcun fine da perseguire, alcuna meta da raggiungere e non occorre fare alcuno sforzo per migliorarci, perché non c'è niente di noi che non vada bene.


E' tutto qui significa che il tutto è qui. Abbandonarsi alla vita, ora, così com'è, senza schemi, pregiudizi, certezze, teorie e prestare attenzione alle cose nel momento che accadono.

Se non impariamo ad essere immersi nel presente saremo sempre in balia del pensiero sbagliato, quello che ormai non c'è più o quello che non arriverà mai.

Il vero grande segreto della vita è essere sempre li dove si è, completamente abbandonati in ciò che sta accadendo.

La presenza a se stessi è la percezione che siamo lì, nelle cose che stiamo facendo, osservando ciò che abbiamo dentro lasciando tutto così com'è.

Namastè

mercoledì 8 giugno 2011

Sui demoni...

"La radice di tutti i demoni è la propria mente. Quando nel percepire un qualsiasi fenomeno si prova attrazione, e poi desiderio, si è catturati dai demoni. Quando nella mente si afferrano i fenomeni come se fossero oggetti esteriori, si viene contaminati...
...tutti i demoni sono compresi in quello dell'orgoglio...
...se non si provano avversione o desiderio, ecco che si manifesta la Mente spontanea (la VERA PROPRIA NATURA, il SE'). Poichè tutto è la propria mente spontanea, colui che Medita, non ha nulla su cui meditare. Qualsiasi percezione si manifesti liberamente, sia lasciata nella sua condizione naturale...
Quando si comprende che la radice del desiderio o dell'avversione, per ciò che è materiale, sta nell'orgoglio ...come il fumo nelle fessure di un muro è causato da un fuoco nascosto, nel recidere l'orgoglio ci si libera dall'attaccamento alla materia...
...quindi tutti i demoni rientrano in quelli dell'orgoglio.
Come un leone sulle alte cime innevate non prova alcun timore, se viene eliminato l'attaccamento a se stessi nasce la sicurezza."
Brani tratti dai Canti Spirituali sulla Recisione dei Demoni.
Namastè

martedì 7 giugno 2011

Una mente controllata conduce alla felicità!

La mente è la fonte di tutta la nostra esperienza, se non percepiamo in modo chiaro, nasceranno confusione e sofferenza. 
La mente è come una tigre selvaggia che semina violenza, ma siamo così ciechi da non accorgercene.
Quando le cose non vanno per il verso giusto diamo la colpa agli altri o alle circostanze, senza cercare dentro di noi le cause della sofferenza. Se, però, vogliamo trovare la serenità, è quell'energia selvaggia interiore che dobbiamo affrontare, venendo a patti con essa. Non è un compito facile, ma le difficoltà vanno affrontate anche se possono causare dolore.
Il desiderio e l'attaccamento possono causare sofferenza, specialmente quando un desiderio non viene appagato.  
Siamo capaci di ammalarci pur di attirare l'attenzione di qualcuno, ma appena riusciamo nel nostro intento, subito vogliamo stare bene come prima. In un modo o in un altro continuiamo a sognare ciò che non abbiamo, rimanendo sempre scontenti. Solo domando la mente si potrà placare la continua sete di gratificazione e sviluppare la comprensione, così da divenire un po più adulti. 
La maturità, però,è possibile solo se ci accettiamo così come siamo, solo se ci rendiamo conto che la felicità deve essere ricercata dentro di noi, solo se svilupperemo una grande accettazione nei confronti del dolore e solo se sapremo sviluppare una grande compassione per noi e per gli altri.
Namastè

mercoledì 1 giugno 2011

Non è facile trovare "il Centro", ma...

Il TAI-CHI è l'antica arte della Suprema Polarità, si basa su due principi fondamentali dai quali si sviluppano movimento e respiro: lo yin e lo yang. Erroneamente considerate come due forze opposte, dai moderni proseliti della new-age, lo yin e lo yang sono in realtà due concetti complementari che esprimono la realtà della vita.
Infatti: pieno e vuoto, alto e basso, grande e piccolo, caldo e freddo non sono forze opposte ma complementari e non potrebbero esistere l'una senza l'altra.
Il simbolo che esprime tale concetto , il pesce bifrontale che evidenzia movimento e trasformazione, è relativamente recente... Nell'antichità, la tradizione Taoista rappresentava tale concetto con una montagna in mezzo ad un lago: metà di essa illuminata dal sole, l'altra metà in ombra. Durante il trascorrere delle ore la parete illuminata restava in ombra e quella in ombra si illuminava. Questa immagine evidenzia l'alternanza dello YIN e dello Yang e credo, tolga ogni dubbio sul fatto che non esistono "cose" YIN o "cose" YANG... esiste un mutamento continuo di forze che regolano la vita dell'universo.
Ecco perchè non solo è difficile imparare la delicata sequenza della forma del TAI-CHI, ma soprattutto ciò che è più difficile è trovare il proprio "centro"!
Nel video il maestro Engaku Taino.

Namastè 

venerdì 27 maggio 2011

Sui Maestri

...amava la precisione in qualsiasi lavoro facesse: si trattasse di cucinare o di spaccare la legna, cantare inni vedici o suonare la vina. Rispetto alla precisione non tollerava compromessi o negligenze, altrettanto pretendeva da noi allievi. I suoi umori ed i suoi modi erano molto rudi e difficili da comprendere, e spesso imprevedibili, perciò eravamo sempre all'erta quando era presente... (B.K.S. Iyengar descrive il suo Guru, Sri Krishnamacharya).
...gli insegnamenti del maestro venivano esposti in un linguaggio tutto suo, usava un linguaggio di un vigore e di una crudezza estrema, tanto da aver creato non poche difficoltà per la sua interpretazione. Il tutto era reso ancora più difficile dal carattere aspro del maestro, senza alcun sviluppo discorsivo, era un pensiero rivolto contro il discorsivo che bisognava decifrare ed intuire istante dopo istante. Nemico dichiarato di tutti i verbalismi, ricorreva sovente al grido, ai gesti, ai colpi di bastone, discendendo bruscamente dalla sedia e uscendo dalla sala con la rapidità del vento! (descrizione del maestro Zen Lin-Chi, 850a.C. circa).
...i due monaci servitori dovevano nel tempo, sviluppare in modo particolare i propri sensi ed essere attenti a qualunque minimo accenno del maestro, il quale non diceva mai chiaramente e direttamente cosa si aspettava da noi discepoli. Per cui capitava che all'improvviso decidesse di fare le calligrafie e noi dovevamo essere già pronti con l'inchiostro in misura abbondante. L'inchiostro che usava il maestro non era quello già pronto, che si compra nelle bottigliette, ma doveva essere preparato strofinando per ore dei blocchetti di inchiostro solido in una vaschetta d'ardesia con acqua, e la densità doveva essere giusta, sennò il maestro ci avrebba "chiesto" che tipi di monaci zen eravamo...( il maestro Engaku Taino descive il suo Roshi Yamada Mumon).
...Coloro che nell'antichità erano buono Maestri erano elusivi, sottili, profondi e penetranti. Tanto profondi che non possiamo capirli, possiamo solo sforzarci di descrivere il loro portamento. (dal Tao-Teh-Ching, Lao-Tsu).
Namastè

giovedì 26 maggio 2011

Attenti a mangiare i frutti delle azioni!

Il dodicesimo capitolo del dodicesimo canto della Bhagavad-gìtà recita: "Se non puoi agire assorbito nella piena coscienza di Dio, sforzati allora di rinunciare ai frutti delle tue azioni e diventa consapevole della tua natura spirituale. Ma se non riesci neppure a seguire questa via, coltiva allora la conoscenza. Superiore alla conoscenza, tuttavia è la meditazione, e superiore alla meditazione è la rinuncia ai frutti dell'azione, perchè con questa rinuncia si può ottenere la pace della mente.
Colui che non è invidioso di nessuno, ma si comporta con tutti come un amico benevolo, che non si considera proprietario di niente, che è libero dal falso ego, che rimane equanime nella gioia come ne dolore, che è pronto al perdono ed è sempre soddisfatto, che si impegna nel servizio devozionale con determinazione e che ha la mente e l'intelligenza in accordo con Dio, è molto caro a Dio!"
Namastè 

martedì 24 maggio 2011

Le Nàdi

Nel nostro corpo l'energia non naviga a caso, segue circuiti ben definiti, è canalizzata e guidata.
Come non è bene confondere i condotti (fili elettrici) con la stessa elettricità, così occorre non identificare le energie circolanti nel nostro corpo con i conduttori; non bisogna quindi confondere il "pràna" con i suoi condotti le "nàdi".
Cosa sono questi condotti? Secondo l'anatomia yogica, il nostro corpo è solcato da una rete complessa di 72.000 nàdi, in sanscito letteralmente "tubi", in cui circola l'energia.
Alcuni autori identificano le nàdi con i nostri nervi fisici, mentre altri affermano che questi condotti sono essi stessi esclusivamente sottili, cioè non visibili dai nostri sensi, ma pur sempre materiali.
I difensori della teoria "nàdi=nervi" fanno osservare che gli antichi trattati classici di Rishi descrivono le nàdi come tubi composti da tre strati. Lo strato interno si chiama "sirà", quello intermedio "damàni", quello esterno "nàdi". Questo nome serve anche a designare l'organo nella sua totalità.
Gli yogi affermano che, nell'uomo ordinario, un gran numero di questi condotti non sono permeabili alle energie pràniche e che, di conseguenza, l'energia circola male nell'organismo. Poichè il pràna è il motore essenziale di tutta la nostra vita fisica e mentale, questa situazione porta con sè vari squilibri psicofisici.
Uno degli obiettivi iniziali dello yoga è quello di garantire la libera circolazione delle energia pràniche a tutti i livelli. Questa è la ragione per cui i Rishi hanno proclamato la necessità di un nutrimento appropriato, di àsana (posizioni) che tengono aperto un numero massimale di nàdi, di una vita sana e semplice, possibilmente all'aria aperta, ogni volta che le circostanze lo permettono.
La pratica dello yoga, permette all'Occidente di conservare la permeabilità di una sufficiente quantità di nàdi, assicura un metabolismo energetico corretto e sufficiente ai bisogni ordinari.
Comunque per arrivare allo stato di salute dinamica sul piano mentale, così come su quello fisico, è indispensabile il prànayàma (tecniche respiratorie).
La prima condizione da assolvere, quindi, sta nell'assicurarsi che la rete di distribuzione sia in grado di adempiere alla sua funzione.
Namastè

lunedì 23 maggio 2011

Dove sei?

Martin Buber (studioso della tradizione Chassidica) nel suo libretto "Il Cammino dell'Uomo", che raccoglie dei racconti tratti da una delle sue conferenze che tenne al congresso di Woodbrook in Olanda nel 1947, cerca di rispondere ad una domanda: "Che cos'è l'uomo?". Piuttosto ardua la domanda... improbabile una risposta, per cui Buber apre la sua riflessione con la domanda rivolta da Dio ad Adamo che si era nascosto: "Uomo dove sei?" (Gen.3,9), svelando che quella domanda è posta ad ogni uomo, in ogni tempo ed in ogni luogo, all'uomo che nascondendosi a Dio, si nasconde a se stesso. L'uomo per la sua crescita e per raggiungere l'autenticità deve innanzitutto tornare a se stesso, risalire alla sua fonte.
L'uomo deve fare della sua vita un cammino, rispondendo alla domanda:"Dove sei?" ...cioè "dove ti trovi in questo momento... a che punto sei sulla Via?" ...senza provare a nascondersi.
Da questa prima tappa essenziale occorre prendere coscienza che sta davanti all'uomo una Via particolare, sua propria: nessun tentativo di imitazione di ciò che è stato percorso, sarebbe una sterile ripetizione e senza nessuna pretesa che la propria Via escluda ad altri la loro. Non esiste una Via unica, occorre invece scegliere la propria e scegliere significa anche rinunciare.
Un giorno finiremo per chiederci: "Perchè non sei stato te stesso?"
Namastè

sabato 21 maggio 2011

...lavare i piatti!

...ci sono due modi di lavare i piatti. Il primo è lavare i piatti per avere i piatti puliti, il secondo è lavare i piatti per lavare i piatti...se mentre laviamo i piatti pensiamo solo alla tazza di tè che ci aspetta e ci affrettiamo a toglierli di mezzo come se fossero una seccatura, non stiamo “lavando i piatti per lavare i piatti”. Direi di più, in quel momento non siamo vivi. Questo perché, mentre siamo davanti al lavandino, siamo assolutamente incapaci di accorgerci del miracolo della vita. Se non sappiamo i lavare i piatti, è probabile che non riusciremo nemmeno a bere la nostra tazza di tè....Così ci facciamo risucchiare dal futuro, incapaci di vivere veramente un solo minuto della nostra vita. (da “Il miracolo della presenza mentale” - Thich Nhat Hanh) 
La pratica dello Yoga tende ad insegnare, attraverso lo studio di se ed attraverso l'attenzione al respiro, ad essere presenti in qualsiasi cosa si è impegnati. Allo stesso modo l'arte dello Shodo insegna ad essere presenti, da quando sciogliamo la barretta di inchiostro a quando il nostro essere si muove all'unisono con il pennello sulla carta. Tutto ciò per gustare appieno ogni attimo della nostra vita.
Al martedì ed al sabato, presso la Scuola, è possibile praticare gratuitamente l'arte dello Shodo “un viaggio alla ricerca della comprensione della vita”.
Namastè

venerdì 20 maggio 2011

Scava dove Stai

Mi capita spesso di rileggere alcuni brani di libri già letti in passato. Gustarsi i racconti della tradizione chassidica è sempre bello. Meister Eckhart, nel libro "Il Cammino dell'Uomo" curato da Martin Buber, racconta del figlio di un Rabbi che cerca affannosamente un tesoro in una città lontana a molti chilometri di distanza da casa sua... finchè alla fine, dopo anni di ricerca, si accorge che il tesoro è sepolto sotto la propria casa.
E' "curioso" scoprire che il termine grab in tedesco significa anche incidere oltre che scavare: "Grab' wo du stehst", letteralmente "scava dove stai". La frase allude al luogo in cui cercare il tesoro della saggezza e al modo in cui trovarlo. "Grab" imperativo, inoltre, suona allo stesso modo di "Grab" sostantivo, che significa "tomba", per cui la frase "Scava dove stai" comunica un'altra sfumatura: "Sia la tua tomba dove stai", come  a dire "seppellisci il tuo ego".
Nella tradizione yogica bruciare l'ego attraverso il TAPAS (il fuoco interiore), la forza interiore che arde solo se ci si dedica alla pratica del Respiro, è una delle azioni fondamentali per l'evoluzione della propria coscienza...per vivere un'esistenza autentica, passando dall'"apparire" all'"essere".
Namastè

mercoledì 18 maggio 2011

Il Pranendriya

La scienza dello Yoga afferma l'esistenza di flussi di energia che operano all'interno del corpo.
Il Pranendriya è un organo psichico che analizza le percezioni, interne ed esterne, ricevute dagli organi di senso e le trasmette al cervello.
Esso svolge un ruolo vitale...la sua attività è pulsante, contrattiva ed espansiva. Le onde del Pranendriya fluiscono in modo vibrante, vi è un accordo di movimenti alternati e di pause nei suoi flussi. E' durante lo stato di pausa e di potenzialità che il Citta (il cervello) è in grado di ricevere i Tanmatra (stimoli, informazioni sensoriali) e assumere la forma delle strutture da essi rappresentate. Fintanto che il cervello non assume la forma delle informazioni entranti, nessuna percezione esatta è possibile, poichè la Mente può lavorare solo quando il cervello assume una forma.
Spesso è possibile che di fronte ad un "oggetto" (materia o forma pensiero o sensazione o fatto) nonostante tutti i nervi afferenti siano perfettamente funzionanti, potrebbe non esserci una giusta percezione della realtà se il cervello non riceve le giuste informazioni. Se si mangia qualcosa mentre si corre, non si è capaci in realtà di gustare completamente il sapore. Il cervello non è capace di tradurre esattamente le informazioni ricevute, se si compiono azioni e pensieri diversi contemporaneamente.
Il Pranendriya ha la capacità di permettere a tutti i nervi di vibrare correttamente nel loro flusso. Tutto ciò indica che, se il Pranendriya è nello stadio espansivo, ogni nervo assieme al cervello stesso, si trovano in una fase di flusso espansivo, in questo stadio, il Pranendriya fa si che il cervello e i nervi vibrino in moto simpatetico tra loro e ostacolino così il movimento delle informazioni entrate. In tale situazione, pertanto, vi ssarà grande difficoltà di percezione o addirittura nessuna percezione esatta.
Se, però, il Pranendriya riceve le informazioni in uno stato di pausa e in una posizione di controllo, tutta la struttura psico-fisica si calma, consentendo la corretta percezione di tutte le informazioni.
Il Pranendriya è collegato direttamente al flusso del respiro , se il respiro è agitato il prana sarà agitato, così come il Pranendriya e le informazioni arriveranno distrorte al cervello. Se invece il Respiro è tranquillo, la mente sarà più tranquilla e chiara.
Questa conoscenza è alla base della pratica corretta dello yoga, attraverso la quale si studia profondamente il RESPIRO.
Namastè  

lunedì 16 maggio 2011

Intraprendere una Via


La calligrafia giapponese oltre ad essere una nobile arte è anche una Via per la conoscenza di se stessi, della propria “Natura della Mente”...naturalmente l'approccio è molto difficile, come in ogni tradizione, se ci si accosta con gli occhi della razionalità, o peggio ancora, con gli occhi della pigrizia.
Il nostro moderno stile di vita, purtroppo, spezza quotidianamente quella curiosità tipica di chi ha ancora un “cuore da bambino”, quella gioia di scoprire nuovi orizzonti che aprono finestre sulla conoscenza.
Comprendo bene che non tutti possono essere interessati o attratti dall'antica Arte del pennello che danza con l'inchiostro, anche se è bene sapere che non è necessario essere dei provetti artisti per intraprendere una Via...però perdere l'occasione di stringere la mano ad uno dei migliori maestri di calligrafia del mondo e scambiare con lui due parole è proprio un peccato!
Nei giorni 25 e 26 giugno, infatti, per il seminario di calligrafia giapponese, ci onorerà della sua presenza Norio Nagayama Sensei.
Presso la Scuola di Yoga Surya, inoltre, ogni martedi dalle 18:00 alle 20:00 e sabato dalle 09:00 alle 12:00 è possibile praticare l'antica arte dello Shodo. I corsi sono gratuiti e sono rivolti anche a chi si accosta per la prima volta a questa disciplina.
Namastè