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La Scuola di Yoga “Sùrya” nasce nel novembre del 2003 per iniziativa del suo fondatore Ottaviano Fuoco, studioso di cultura indiana ed insegnante di Yoga, come Associazione Sportivo Culturale US ACLI, riconosciuta dal CONI.
La scuola è un centro dove è possibile praticare lo HathaYoga e non solo, possiede una biblioteca ed una Sala da thè. Organizza seminari di Shodo e di Nada Yoga, incontri di studio, concerti, conferenze, approfondimenti sulle discipline orientali.

giovedì 29 settembre 2011

Che cosa ne ricaverò?

Se si chiede ad un cane il senso della vita, probabilmente risponderà che ha fame e che vuole qualche carezza!
Noi esseri umani, al contrario dei cani, abbiamo una mente egocentrica che ci procura diversi guai.
Tutti, in misura diversa, sentiamo la vita come difficile, incomprensibile ed a volte opprimente. A seconda delle nostre esperienze approdiamo all'età adulta con sentimenti contraddittori riguardo alla vita. Se ci dicessero che la vita è perfetta così com'è probabilmente ci metteremmo a ridere, per non dire altro. Nessuno ritiene di vivere una vita perfetta, eppure qualcosa dentro di noi sa che siamo senza confini. Ci troviamo intrappolati nella contraddizione di sentire la vita come fonte di dolore e problemi e nello stesso tempo di sentire la sua infinita ampiezza. Così cerchiamo delle risposte!
Per prima cosa guardiamo all'esterno, soluzioni semplici, più soldi, un nuovo amante, qualcuno che ci comprenda meglio. Poi a poco a poco ci stanchiamo di ciò che abbiamo trovato e cominciamo a cercarne di nuovi. Continuando a cercare all'esterno, in fine, approdiamo ad una disciplina spirituale. Anche in questo caso, però, riportiamo le stesse modalità di prima. “Se riuscissi a compenetrare quest'Asana riuscirei a stare meglio!”, “Se solo assaporassi l'illuminazione sarei più felice!” Avvicinandoci ad una pratica come lo Yoga portiamo con noi la vecchia abitudine della ricerca dell'ottenimento di quel qualcosa che finora c'era sfuggito.
Che cosa ne ricaverò?” questa è la domanda che ci poniamo in continuazione. Impostiamo la vita sul tentativo di evitare ciò che ci ferisce o dispiace; dividiamo gli oggetti le persone e le situazioni in piacevoli e dolorosi inseguendo gli uni ed evitando gli altri. Tutti adottiamo questo comportamento! Seppelliamo dentro di noi ansia, paura e dolore e siamo costantemente impegnati in qualche attività per continuare a seppellire. Dobbiamo risvegliarci alla necessità di lavorare alla nostra vita, dobbiamo superare l'illusione di un io separato dall'altro. Conosciamo la vita solo nel momento in cui noi e l'oggetto diventiamo uno.
La “pace oceanica”, l'”illuminazione” non è qualcosa da ottenere, è semplicemente l'assenza di un atteggiamento. Per tutta la vita inseguiamo qualcosa, perseguiamo uno scopo, l'illuminazione è l'abbandono di questo atteggiamento. Parlarne serve a poco l'unica cosa è la pratica personale, praticare con impegno per tutta la vita.
Viviamo in modo così innaturale che praticare lo Yoga all'inizio è estremamente difficile, ma una volta colto che il problema non sta al di fuori di noi siamo già sul sentiero. Questo barlume di luce sulla possibilità di una vita più aperta e gioiosa ci dà il desiderio di continuare a praticare. Ci impegniamo in una disciplina come lo Yoga proprio per imparare a vivere in modo sano. Una pratica sana ed equilibrata deve produrre una vita più sana e soddisfacente.
Lo Yoga non è per tutti, esige la disponibilità ad affrontare qualcosa che non è facile, ma se ci impegniamo con pazienza e perseveranza, a poco a poco, le emozioni perdono il loro potere tirannico e la nostra vita si equilibra..
Praticando scopriamo che la prima cosa su cui lavorare è la nostra mente caotica. Con la mente chiara e bilanciata può prodursi un'apertura che per un attimo può farci comprendere chi siamo davvero. A questo punto non si tratterà più di praticare Yoga per un'ora o due al giorno, ma tutta la vita diventerà pratica, ed ogni minuto della nostra giornata sarà dedicato alla pratica.
Namastè

mercoledì 14 settembre 2011

Sùrya Namaskara

E' una sequenza dinamica, perfetta e completa in se stessa; sigillo inalterato, arriva a noi attraverso i secoli per raccontare una storia antica descrivendo l'avvicendarsi dell'anima e della materia, ciclicamente legati dall'azione del KARMA (azione).
I primi movimenti descrivono il tragitto dell'ATMAN (anima) alla fine di un ciclo: le mani si uniscono davanti al CHAKRA del cuore, come per proteggere qualcosa di prezioso, che poi viene liberato verso l'alto, verso il BRAHMAN (l'assoluto). Allora il corpo fisico, svuotato dalla sua luce interiore, ritorna gradualmente agli elementi di PRAKRTI. Gli elementi più leggeri, assieme a quelli che il fuoco trasforma, sono accolti dall'etere; all'acqua e alla terra andranno i più pesanti. Ma dalla terra risorge qualcosa: attraverso il potere del COBRA, attraverso l'energia del fulmine che entra in PRAKRTI vivificandola, gli elementi si attraggono, si organizzano in nuova forma e l'ATMAN torna dall'alto per abitarla. Dallo spazio del cuore nel quale ATMAN risplende, ha inizio un nuovo ciclo senza fine, ancora più interiore e sottile.
Nascita, vita, morte e rinascita, un ciclo di musica vibrante a supporto di tutta la realtà!
Namastè.


sabato 3 settembre 2011

L'Impermanenza


La rinuncia non consiste nel lasciare le cose di questo mondo, ma nell'accettare che se ne vadano” Suzuki Roshi
La rinuncia è la condizione di non attaccamento, l'accettazione del fatto che le cose se ne vanno. La distruzione è necessaria. Senza distruzione non può prodursi la nuova vita. Dobbiamo vivere e morire. Questo processo è perfezione, “l'impermanenza” è di fatto un altro nome per perfezione.
Il cambiamento non è sempre quello che auspichiamo, il nostro impulso ci spinge a cercare un modo per durare per sempre nel nostro eterno fulgore. Benché ridicola la nostra speranza è questa. La resistenza al cambiamento stride con la perfezione della vita, cioè con la sua impermanenza.
Così nasce un eterno conflitto perché l'ultima cosa che vogliamo è la nostra impermanenza. Rifiutiamo di vedere la vita, la nostra attenzione è altrove precisamente sul campo di battaglia delle nostre paure, impegnati nella lotta per conservarci in eterno. Battaglia futile ed angosciosa che ovviamente non vinceremo.
La pratica quotidiana si rivela il luogo in cui i miei desideri di immortalità privata, di lustro personale e di controllo sull'universo si scontrano con ciò che è. Una buona pratica ci rende consapevoli dei nostri sogni, e non lascia inavvertito nulla di quanto accade nella sfera fisica e mentale. La pratica ci trasforma in canali sempre più aperti al passaggio dell'energia universale e la morte perde la sua forza.
Il primo grande ostacolo che opponiamo a questa trasformazione è la mancanza di consapevolezza delle resistenze che opponiamo alla pratica. Il secondo ostacolo è dato dalla mancanza di sincerità sul nostro stato d'animo momento per momento, dobbiamo sempre essere consapevoli di tutto ciò che succede dentro di noi. Il terzo ostacolo è non comprendere la vastità del compito in cui ci siamo imbarcati. Non è un compito impossibile ma è infinito.
Una pratica intelligente lavora prevalentemente su una cosa: la paura fondamentale dell'esistenza, la paura di non essere. Noi siamo l'impermanenza espressa in forma umana in rapido cambiamento, che però appare come stabile.
Quando le barriere personali cadranno semplicemente vivremo e morendo semplicemente moriremo. Nessun problema.
Namasté